“Narrare il fascismo”: il convegno a Predappio
Lo scorso 21 gennaio mi sono avventurata sulle colline innevate nel Forlivese, in occasione del convegno internazionale “Narrare il fascismo” tenutosi presso la sala Europa del Comune di Predappio e organizzato dall’Istituto Parri.
Il convegno aveva un obiettivo chiaro: interrogarsi sul modo in cui il fascismo è stato raccontato, trasmesso e reso accessibile al di là della produzione storiografica in senso stretto.
Una lista commentata – a lezione da Giacomo Manzoli
Giacomo Manzoli, professore ordinario presso l’Università di Bologna, ha parlato di cinema e fascismo e ha presentato una lista commentata dei film che nel corso del ‘900 hanno raccontato, da punti di vista diversi, un periodo storico che è ancora oggi oggetto di discussioni animate.
L’istituto LUCE e la propaganda
“La cinematografia è l’arma più forte”, Mussolini lo capì subito e fece dell’Istituto Luce (L’Unione Cinematografica Educativa) il primo grande istituto di propaganda politica, ben consapevole della straordinaria forza comunicativa del cinema. In un periodo storico in cui il cinema americano rappresentava l’80% degli incassi del botteghino, il duce applicò una strategia protezionista e incoraggiò la produzione di film celebrativi del regime come Scipione l’africano (Gallone, 1937) e Ettore Fieramosca (Blasetti, 1938). Questi film celebravano l’avvento del fascismo e furono realizzati in occasione di grandi manifestazioni.
I telefoni bianchi
Cinema e fascismo erano più che mai collegati. Film come Il grido dell’aquila (Volpi, 1923), Vecchia guardia (Blasetti, 1934) e Camicia Nera (Forzano, 1933), spiega Manzoli, proponevano il fascismo come un fenomeno di rivoluzione e di cambiamento, mentre attraverso il cinema dei “telefoni bianchi” la propaganda si faceva implicita seguendo il modello della sophisticated comedy: il cinema mostrava il benessere crescente e la modernizzazione “propiziata” dal fascismo. I telefoni bianchi, quindi, erano il simbolo della ricchezza, dell’avanzamento. Appartengono a questo filone La segretaria privata (Alessandrini, 1931), Gli uomini che mascalzoni (Camerini, 1931) e Il signor Max (Camerini, 1937).
Il cinema bellico
Il cosiddetto cinema bellico, invece, ebbe due sfumature: una intenta a raccontare le imprese di guerra, vedi Aldebaran (Blasetti, 1935), Luciano Serra Pilota (Alessandrini, 1938), L’assedio dell’Alcazar (Genina, 1940) e Giarabub (Alessandrini, 1942) e un’altra dal volto umano, che aveva già in sé i podromi del Neorealismo, vedi ad esempio Uomini sul fondo (De Robertis, 1941), La nave bianca (Rossellini, 1941).
Il neorealismo
Il cinema neorealista, in pieno dopoguerra, in generale preferì schivare l’argomento e, fatta esclusione per Roma città aperta (Rossellini, 1945), Giorni di gloria (Visconti, De Santis, Pagliero, Serandrei, 1945) e Avanti a lui tremava tutta Roma (Gallone, 1946) il fascismo divenne a poco a poco un tabù.
Il tabù
Questo tabù fu rotto per la prima volta soltanto nel 1953 da Renzo Renzi con L’armata S’Agapò: lo scrittore e critico cinematografico presentò una sceneggiatura che raccontava la guerra d’occupazione italiana in Grecia. L’autore fu però arrestato con l’accusa di vilipendio delle forze armate e condannato al carcere. Il messaggio era chiaro: era meglio non parlare di fascismo.
A meno che non fosse un’occasione per celebrare l’esercito italiano in maniera “politicamente neutra“. Film come Uomini e cieli (De Robertis, 1947), Carica Eroica (De Robertis, 1952) e I sette dell’Orsa Maggiore (Coletti, 1953) hanno sì ambientazione fascista, ma hanno lo scopo raccontare l’eroismo dell’esercito italiano.
Il tabù infranto
Dopo il boom economico del 1958 il tabù è finalmente e completamente infranto; impossibile non citare La ciociara (De Sica, 1960) e Il generale Della Rovere (Rossellini, 1957).
Sulla scia di questa riscoperta il fascismo entra a far parte della commedia all’italiana. Tra i titoli più famosi Tutti a casa (Comencini, 1960), I due marescialli (Corbucci, 1961), I due colonnelli (Steno, 1962), Anni ruggenti (Zampa, 1962).
Il fascismo d’autore
Tra gli anni ’60 e ’70 si fa spazio quello che Manzoli definisce “fascismo d’autore”. Tra i titoli più importanti compaiono Il conformista (Bertolucci, 1970), Il giardino dei Finzi Contini (De Sica, 1970), La strategia del ragno (Bertolucci, 1970), Il delitto Matteotti (Vancini, 1973), Amarcord (Fellini, 1974).
Il fascismo “pop”
Sotto la categoria “fascismo pop” Manzoli include pellicole di successo come La vita è bella (Benigni, 1997), Mediterraneo (Salvatores, 1991) e Le vie del Signore sono finite (Troisi, 1987).
Deformare la storia
Sempre negli anni più recenti, nasce la tendenza a “deformare la storia“. Tra i titoli che seguono questo filone, troviamo Porzus (Martinelli, 1997), I piccoli maestri (Luchetti, 1997), Concorrenza sleale (Scola, 2001) e Sanguepazzo (Giordana, 2008).
Anni recentissimi
Manzoli segnala anche il recentissimo In guerra per amore di Pierfrancesco Diliberto, più conosciuto come PIF, ambientato in Sicilia nel periodo del crollo del regime fascista.
Questo naturalmente è un elenco breve e incompleto dei film che trattano il tema del fascismo, al lettore quindi l’invito ad approfondire e condividere!