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“Tredici”: una storia da conoscere, anche se fa male

Tredici

Ho finito di guardare Tredici l’altro ieri e, in tutta onestà, devo ancora riprendermi. E’ una storia che scuote, mescola e fa capire davvero che cosa significhi soffrire. Soffrire tanto da non voler sentire più nulla, per sempre.

Tredici è una serie di Netflix, uscita lo scorso 31 marzo. Racconta la storia di Hannah Baker, un’adolescente che si toglie la vita lasciandosi alle spalle delle cassette. Su ognuna di esse ha registrato le tredici ragioni che l’hanno portata al suicidio. Tredici ragioni che, per essere precisi, corrispondono a tredici persone ben distinte che l’hanno ferita per arroganza, orgoglio, stupidità. Ognuno di essi colpisce Hannah, chi più chi meno: tuttavia, leggeri o pesanti che siano, tutti i colpi si sommano nella spirale discendente della depressione.
Hannah, con lucidità e rassegnazione, racconta la sua storia e stabilisce le regole del gioco. Le cassette, infatti, dovranno passare nell’ordine prestabilito ad ognuna delle tredici persone prese in causa. La vicenda comincia al momento in cui Clay Jensen, pacifico ragazzo invaghito di Hannah, riceve le cassette e inizia ad ascoltarle.

Tredici

Una copertina del libro in lingua originale

La serie è stata tratta dall’omonimo romanzo di Jay Asher, uscito ormai 10 anni fa, nel 2007. Il libro fa parte della categoria Young Adult, è stato quindi scritto per un pubblico di lettori adolescenti e giovani.
Quando ho iniziato a guardare le prime puntate della serie, ho capito subito che mi avrebbe preso e coinvolto molto. Scoperta l’origine letteraria del progetto, ho deciso di fermarmi e leggere prima il libro.
Il volume è piuttosto breve e scritto con una semplicità adatta al pubblico che si prefigge. E’ un libro veloce, intenso, che ho letto in un pomeriggio. Non riuscivo a staccarmene, per quanto leggere le parole di una giovane donna sofferente mi stesse facendo molto male. Non volevo, però, smettere per questo. Il bullismo, il suicidio, la depressione e la violenza ci sono ancora, prepotentemente. Evitare di pensarci non risolve nulla, sensibilizzarsi è un inizio.

La vicenda, come narrata dall’autore Jay Asher, è molto più immediata e concentrata sulle registrazioni: ciò che nella serie vediamo come scena nella pratica, nel libro è presente esclusivamente come racconto di Hannah Baker. L’ascolto di Clay si svolge nel giro di una notte, perché tanta è la foga del ragazzo nello scoprire cosa sia successo all’amica. Rabbia, impotenza, ma anche paura, perché Clay non sa quando sarà il suo turno nella storia, né come abbia contribuito al suicidio.

Netflix e i produttori hanno diluito molto la vicenda, tanto da realizzarne tredici puntate di quasi un’ora. “Diluire” potrebbe lasciar intendere qualcosa di negativo, il desiderio di allungare il tutto per opulenza e guadagno. Alcune critici della produzione, in effetti, sostengono che sia troppo lenta. Altri trovano che Hannah sia una stupida perché non è in grado di reagire.
Personalmente, e io non ci capisco un cazzo, trovo che i primi siano commenti incredibilmente gelidi. Gli altri, invece, sono solo idioti. Commenti idioti di persone che non hanno terminato o cominciato la visione, perché non è soltanto qualche pettegolezzo a rovinare la vita di Hannah. Ma come spesso accade sono i pettegolezzi a far cominciare la discesa.

La vicenda raccontata nella trasposizione di Netflix cambia alcune questioni, rendendole anche più forti. Sono scelte comprensibili, considerato che rispetto al libro l’ambientazione cambia, è contemporanea a noi. Di conseguenza, anche gli adolescenti cambiano. Vengono sviluppati e introdotti diversi personaggi, l’elaborazione del lutto e le reazioni dei ragazzi alle cassette. Clay Jensen, inoltre, diventa molto più sfaccettato nel suo dolore e nel rimpianto di non aver fatto di più, di non aver provato a capire davvero cosa Hannah stesse passando.
Parte dell’intensità è dovuta al fatto che nulla rimane sottinteso nelle scene, come volutamente hanno premesso i creatori: pugni, autolesione, violenza sessuale, nulla rimane sottinteso. Perché Hannah non sottintende nulla, racconta ogni cosa e lo fa curandosi dei dettagli.

Concludo questo personale commento consigliando il libro e la serie (nonostante alcune immagini forti) a tutti. A ragazzi, adulti, genitori, educatori: dobbiamo capire che anche il più piccolo gesto può avere conseguenze gravissime e, soprattutto, evitabili.

Informazioni sull'autore

Silvia Rossetti

Italianista e multitasker. Scrittrice quando c'è tempo, teatrante per divertimento. Forza Tassorosso.