Voi ve la sentireste di mollare tutto? Tutta la tranquillità e le comodità di casa vostra per partire con un biglietto di sola andata che vi porterà ad attraversare catene montuose, villaggi poveri abitati da gente semplice, senza auto, senza treni, per un viaggio di chilometri e chilometri? Questo è proprio quello che ha fatto Mattia, per ripartire, anzi forse per cominciare a vivere davvero. Ha iniziato un’avventura nella Scomfort Zone.
Forlivese d’origine, ma ormai potremmo definirlo cittadino del mondo, Mattia Fiorentini è sempre in viaggio. Pochi giorni fa era a Potenza per raccogliere fondi per la “sua” squadra di calcio in Colombia. Ma partiamo da quello che fa. Mattia racconta alla gente il suo modo di viaggiare. Un percorso che richiede spostamenti con i bus, in autostop e con lo zaino in spalla. Parlando dei suoi viaggi (che potete trovare nel suo blog Scomfort Zone), ci racconta che gli “piace conoscere il futuro viaggiatore e capire insieme che tipo di viaggio si farà”.
Il 5 aprile Mattia racconterà la sua mission al Circolo Abajur di Ravenna (in via Ghibuzza 12) e sarà la sua prima presentazione in città.

Mattia in viaggio
Quando e come inizia il tuo viaggio?
Nel 2015 l’azienda per la quale lavoravo ha lasciato a casa me e altre 14 persone. Non me la sentivo di proseguire su quella strada e ho messo da parte la mia laurea in Economia per viaggiare. Fino ad allora avevo fatto i soliti viaggi, in coppia o con gli amici. Pochissimi viaggi da solo. Volevo cambiare, stare dentro il paese che avrei visitato, vivere il paese. Ho iniziato con un viaggio in Europa, lavorando come giardiniere e contadino. Da lì la mia mente si è molto aperta.
Così ho voluto intraprendere un’esperienza nuova: partire con biglietto di solo andata che mi ha fatto arrivare in Argentina. Ho vissuto tante situazioni. Sono stato in Colombia, ho mangiato con una famiglia dell’Amazzonia, attraversato le montagne, volato con il parapendio. La mia regola è diventata: non avere regole. Le persone che incontro sono la mia bussola. Questo mi ha portato a fare 25.000 chilometri in un anno. Facendo tante amicizie, tanti incontri. Ho viaggiato anche in autostop. Tornato a casa, ho sentito il desiderio di far vivere questo tipo di viaggio, lento e responsabile, alle altre persone.
Qual è il tuo obiettivo con la Scomfort Zone?
Ho preparato un itinerario che avevo già vissuto e sei persone hanno deciso di partecipare e condividere il viaggio. Anche per quest’anno sto preparando dei viaggi: in Colombia ad agosto e in Ecuador a novembre.
A questo si è aggiunta una fantastica squadra di calcio, la Sembrando Paz y Espenza (Seminando Pace e Speranza), che gioca in un quartiere popolare di Medellin (Colombia). Un quartiere molto difficile, terra di narcos. Lì si è deciso di fondare una squadra per evitare che i bambini finissero nelle bande di narcotrafficanti. Con i 1500 euro che ho raccolto attraverso il blog abbiamo inaugurato gli spogliatoi e fatto delle maglie con tanto di logo.
Non sono un’agenzia viaggi, insomma. Lo faccio per passione: propongo alcuni itinerari, ma non lo faccio per lavoro.

Mattia con i bambini della Sembrando Paz y Espenza
Il Sudamerica ha un posto importante tra i tuoi viaggi. Perché?
Sono stato nel 2014 in Perù, in un viaggio stra-organizzato. Ci siamo persi in una festa di paese e lì mi sono trovato in mezzo a gente che mi abbracciava e mi offriva da bere. Mi è arrivata qualcosa, un’energia. In Sud America c’è ancora una forte cura delle relazioni e io cercavo proprio questa esperienza. La cultura latina si sposava con questa mia esigenza.
Cos’è per te la Scomfort Zone?
È una linea immaginaria da oltrepassare. Andare oltre quelle regole del quotidiano che ci mettono in difficoltà ogni tanto. Tempo fa pensavo: se potessi, se facessi, se partissi. Quando ho perso il posto fisso ho deciso di uscire da comodità, affetti e quotidianità. Con il viaggio ho scoperto un modo per vivere situazioni diverse. Io viaggio perché quando torno a casa, torno col sorriso. Vado spesso in Sud America dove vedo persone con il mio stesso sguardo ma in “scenografie” diverse. Abbandono il quotidiano per arrivare alle radici.

Un tuffo nella Scomfort Zone
Cosa ti ha colpito di più tra i tanti viaggi?
Potrei fare un elenco lunghissimo. In Sud America, stavo discendendo la montagna Arcobaleno, c’erano degli operai nella spedizione e nella discesa incontrammo le loro mogli, chine sul terreno a raccogliere patate. Allora mi invitarono a mangiare le patate che avevano appena raccolto. Un cibo preziosissimo per loro che volevano condividere con me. E poi in Etiopia, nella valle del caffè: ho fatto ridere dei bambini che mi credevano uno stregone per un semplice gioco di mani. Di base mi rimangono sempre impressi nella mente i rapporti con le persone, perché nel quotidiano il diverso fa sempre un po’ paura. Io invece cerco certe esperienze per scardinare queste credenze.

Scendendo la montagna Arcobaleno
E ora la domanda che si pone sempre ai grandi viaggiatori: la tua prossima tappa?
Non mi interessa tanto il dove, ma quale esperienza sto per vivere. Però sto pensando seriamente di tornare in Etiopia, perché collaboro con una fondazione che costruisce pozzi per la raccolta d’acqua. Mi piacerebbe tornare tra braccia di “mamma Africa”. E poi nuovamente in Sud America. Un’altra idea è la Lituania per scendere poi attraverso Bulgaria e Polonia. Anche qui per sfatare qualche stereotipo: la parte est dell’Europa viene spesso etichettata.