Musica

“Lo stretto necessario” secondo Giacomo Scudellari

Giacomo Scudellari, classe 1986, è un cantautore leggero e deciso, dai richiami antichi e moderni. Uno stile che riporta gli echi del cantautorato italiano storico, senza affossarsi nei suoi schemi attraverso connotazioni nuove, un po’ ironiche, un po’ serie, un po’ tutte e due.

Lo stretto necessario, suo album d’esordio dopo l’EP del 2013 Santi o non Santi, è uscito il 16 marzo  per l’etichetta Brutture Moderne, con la produzione e la collaborazione musicale di Francesco Giampaoli. Si tratta di un insieme di tracce molto interessanti, un viaggio in una serie di visioni ed episodi. Chi ama la musica e le parole non può che apprezzare il lavoro di Giacomo Scudellari.

Se temete di essere arrivati tardi, non scomponetevi: martedì 10 aprile alle 21.30, nella meravigliosa cornice del Teatro Socjale di Piangipane, ci sarà il concerto di presentazione ufficiale dell’album.
Nell’attesa, ci siamo tolti qualche dubbio insieme al diretto interessato.

Ci sono degli artisti che ti hanno influenzato nella realizzazione del tuo percorso musicale?

«Sì, i riferimenti sono quelli della canzone d’autore italiana, diciamo quella che solitamente viene incasellata come “classica”, i decenni ’60 e ’70. Se vogliamo fare qualche nome, a parte De Andrè – che ormai è un riferimento per chiunque si avvicini alla canzone in Italia – ci può essere un De Gregori, come un Paolo Conte. È stata una stagione talmente florida che citare un nome piuttosto che un altro è un po’ riduttivo. Sicuramente sono tutti ascolti che ho fatto e rifatto, sono un po’ come dei grandi classici della letteratura: ognuno ha dei riferimenti solidi, in Italia abbiamo avuto una stagione molto fortunata.»

Come sono nati i brani dell’album? Hanno legami particolari con qualche periodo della tua vita o sono stati prodotti in un arco di tempo più breve?
giacomo-scudellari

«Diciamo che questo è un po’ il precipitato di un’attività che sto portando avanti da qualche anno. La scrittura delle canzoni è un’attività che conduco da ormai una decina d’anni, questa qui è una selezione. Però parliamo di brani che sono stati scritti anche tre anni fa, che ho poi portato ai live mentre facevo da spalla alla formazione marchigiana GANG, che suona da molto tempo. Questo mi ha aiutato a fare una scelta dei pezzi anche sulla base del riscontro che avevo con il pubblico durante le serate. Quindi è un po’ una sintesi della mia attività negli ultimi anni. Sono canzoni spalmate in un periodo di tempo non proprio ristretto, una selezione dai miei ultimi anni di attività.»

Ci sono canzoni in particolare che consiglieresti? Quali brani suggeriresti di ascoltare a qualcuno che deve ancora scoprire il tuo lavoro?

«Sicuramente la prima canzone, Il cantico della sambuca, è un po’ il manifesto di tutto il disco, di cui abbiamo fatto anche il primo video musicale. In quel pezzo ci sono le note allegre e più introspettive del testo mescolate, con dei particolari cori africani realizzati dal produttore artistico Francesco Giampaoli. Dopodiché direi anche l’ultima, appunto Lo stretto necessario, che chiude il disco. Se non altro perché ascoltare la prima e l’ultima canzone di un album ti dà già un’idea di quale sia la visione che ti si apre. Anche questa è una canzone a cui sono legato, perché è un brano più meditativo, introspettivo, che chiude il cerchio.»

Come e quando ti sei avvicinato alla musica?

«Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica da piccolissimo, perché ho suonato il piano da piccolo, ho fatto un po’ di conservatorio e poi sono passato alla chitarra. In seguito ho associato gli ascolti che facevano i miei genitori in macchina, cantautori a rotta di collo. Dopo è diventata una passione. Come può esserci la passione per disegnare, c’è la passione per provare a fare canzoni. Magari all’inizio uno le scrive brutte, che fanno schifo, però si lima, si prova, si riprova. Io ho scritto una montagna di roba senza senso, però dopo un po’ capisci qual è il tuo linguaggio, la tua visione, il tuo stile e continui a farlo. Ma lo fai perché senti questa esigenza, non è un obbligo. Se uno se lo sente lo fa, se no si fa una passeggiata, fa qualcos’altro.»

giacomo-scudellariIn questo periodo è molto frequente riferirsi ai cantautori come “i poeti del nostro tempo”: ti riconosci in questa visione?

«Mi sembra una classificazione sbagliata, come classificare una cosa per un’altra. Considero la canzone una forma espressiva autonoma, con i propri connotati caratteristici. Sarebbe come definire una scultura un quadro, è semplicemente un’altra cosa. Preferirei definirmi “cantautore”, ma semplicemente perché canto le canzoni che scrivo, non perché faccia più figo dirlo.»

Come è nata la collaborazione con Davide Salvemini per la realizzazione della copertina e del video di Il cantico della sambuca? Hai cercato volontariamente una sfumatura artistica e contemporanea?

«Mi sono rivolto a lui perché l’idea di fondo dell’intero progetto era portare avanti la canzone tradizionale più classica, tenendo i piedi piantati nel 2018. Questa è la grande sfida che abbiamo provato ad affrontare al meglio delle nostre possibilità. Dopodiché, anche dal punto di vista visivo, volevo che questo disco appartenesse al 2018. Mi sono appoggiato a un artista che stimo e apprezzo molto, al quale ho dato assolutamente carta bianca. Gli ho detto di fidarmi ciecamente di lui e di fare ciò che voleva con il materiale che gli avevo dato, di vedere che visioni gli suscitasse.»


Per scoprire di più:

Facebook – Giacomo Scudellari

Per ulteriori informazioni sulla presentazione di martedì 10 aprile:
Teatro Socjale – FB Event

Photo credits: Nicola Baldazzi

 

 

 

Informazioni sull'autore

Silvia Rossetti

Italianista e multitasker. Scrittrice quando c'è tempo, teatrante per divertimento. Forza Tassorosso.