Letteratura

Roberto Saviano a Ravenna per raccontare “La paranza dei bambini”

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Roberto Saviano ha fatto tappa a Ravenna martedì 11 aprile per presentare il suo ultimo romanzo, La paranza dei bambini (Feltrinelli, 2016), in occasione di un’esclusiva anteprima di Scrittura Festival. Gli appuntamenti che lo hanno riguardato sono stati due, uno per le scuole e uno aperto al pubblico. I ragazzi delle superiori hanno visto e sentito lo scrittore al Pala Costa e, racconta Matteo Cavezzali, erano 1500 ma «non si sentiva volare una mosca».
Il secondo appuntamento è stato al Teatro Alighieri, gremito di persone desiderose di portare il saluto della città a Saviano.

E’ proprio su questa nota che apre la sua prima risposta lo scrittore, divagando leggermente sulla vicenda della sua cittadinanza onoraria, che alcuni sostenevano fosse stata ignorata con disprezzo. Saviano si è detto felice di essere a Ravenna in quanto nostro concittadino, «anche se qualcuno non voleva», come ben sappiamo. La cittadinanza onoraria non è un tributo scontato per chi, come lui, vive sotto scorta e si impegna a combattere attraverso la scrittura. Significa «protezione, condivisione, esserci».

Roberto Saviano vive sotto scorta dal 2006. La protezione inizia pochi mesi dopo l’uscita del suo primo grande successo, Gomorra, una non-fiction novel che racconta delle dinamiche economiche e criminali strutturate dalla Camorra. Con lui, spiega sempre Cavezzali, è stato «risollevato un problema», si sono svegliate coscienze sopite e lo studio degli imperi criminali organizzati si è infittito e sensibilizzato.

La paranza dei bambini racconta un nuovo volto della Camorra, un volto giovane e disinibito. I ragazzini, cosiddetti “muschilli”, in Gomorra erano le ultime ruote del carro, spesso sfruttati quando l’organizzazione si trovava in carenza di uomini. Le carte, purtroppo, sono cambiate. Oggi, infatti, ci sono gruppi di ragazzi dai 10 ai 19 anni che comandano, gestiscono lo spaccio, le estorsioni e hanno un aspettativa di vita molto, molto bassa.
Di questo parla l’ultimo romanzo di Saviano, il cui protagonista è Nicolas Fiorillo, ispirato al realmente esistito Emanuele Sibillo, ucciso a 19 anni nel 2015 a colpi di pistola. Nicolas è capo-clan di un piccolo gruppo di ragazzini che puntano all’ascesa al potere e al denaro.

«Questi ragazzi partono da un assunto molto preciso: “contano solo i soldi”.»

La filosofia di questi nuovi clan è cruda, semplice, volta esclusivamente al dio del denaro: se dici che i soldi non sono la cosa più importante, vuol dire che ce li hai.
I ragazzi delle paranze vivono frustrazioni molto simili agli altri loro coetanei, che devono vivere in un disincanto ormai consolidato. Il desiderio di riscattarsi è molto forte, più forte che in altre realtà italiane. Questo riscatto se lo prendono con il crimine, le armi, il narcotraffico. E di conseguenza, con una valanga di soldi.

Così funziona, Saviano lo spiega con un esempio molto pratico: se investiamo 1000 euro su un pacchetto azionario Apple, dopo un anno tornano 1300-1400 euro (nei casi migliori). Investendo 1000 euro in cocaina, secondo quanto dichiarato dalla DEA (Drug Enforcement Agency, n.d.r.), dopo un anno tornano 182000 euro.
I “paranzini” con 5000 euro a settembre, arrivano al settembre seguente con un milione di euro. Questo, però, nella consapevolezza che verranno uccisi o arrestati, spesso in pochissimi mesi. Perché oggi non c’è tempo né nella vita né nei social.

«Tutto è presente. Loro lo sanno, lo percepiscono e se la giocano. E mettono in conto di crepare.»

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La copertina del libro

Per queste generazioni di camorristi le possibilità sono solo due: vivere a lungo e mediocremente, oppure vivere poco, ma prendendo tutto ciò che si vuole.
Su questa nota Saviano fa una digressione sull’integralismo islamico e sull’Isis, per i quali il narcotraffico è una fondamentale voce di guadagno, in paradossale disaccordo con la moralità estrema che pretendono di predicare.
I “paranzini” di Saviano stimano molto i terroristi, perché farsi saltare in aria significa “tenere le palle”. Chi uccide ha le palle, e ancora più chi è disposto a morire per ottenere qualcosa.

Come possiamo difenderci quindi, da questo vortice di velocità nel quotidiano? «Il libro è un’arma fondamentale per non farsi fregare: prendere un libro significa prendersi tempo.» La letteratura ha un ruolo fondamentale in questo, perché riesce ancora ad insegnarci la lentezza e la riflessione. Un libro è un sincero momento di solitudine che tutti possiamo prenderci, perché non servono formazioni particolari.

«Ogni volta che c’è un contenuto serio si rallenta, invece le cazzate viaggiano velocissime. Tutto ciò che è pensiero e riflessione per sua natura richiede tempo.»

Le dinamiche social contrastano il bisogno di riflessione che richiedono la lettura e l’informazione. I soldi che i ragazzini guadagnano attraverso il narcotraffico, quando finiscono in carcere o ammazzati, continuano a circolare nei paradisi fiscali dell’Europa. Tuttavia pochissimi, mondo politico compreso, hanno voglia di soffermarsi sulle complesse dinamiche che ingranano in queste situazioni.
«I dibattiti più importanti, siccome sono complessi, stancano. Ecco perché darvi il tempo di poter ragionare è una cosa preziosissima. Una cosa che qualunque tipo di potere teme. Perché il potere detesta sempre la complessità, preferisce avervi come dei grandi tifosi. Il tifo nello sport è meraviglioso, ma per la politica e l’analisi è terrificante.»

Nel dibattito contemporaneo si perde il senso del valore delle parole. Se ne usano di dirette e violente in maniera estremamente irresponsabile. Secondo Saviano, per capire il peso e il valore della parola serve pensare a chi in nome della parola è stato ucciso. Per un libro, un articolo, un pensiero.
Con i populismi che avanzano in tutto il mondo la violenza delle parole viene considerata autentica. E se la scorrettezza è intesa come autenticità, allora la situazione è pericolosissima.

Saviano riserva quindi un pensiero a Giovanni Falcone, «genio del diritto e dell’investigazione», che aveva capito come fermare le organizzazioni criminali: «hanno fermato la mente di Falcone, non il coraggio». Aveva capito che in tema di organizzazione criminale andava scoperto il business, il capitale, il riciclaggio. Ebbene Falcone, in vita, veniva sistematicamente insultato e diffamato. Come disse in un’intervista a Corrado Augias: «Questo è il paese felice, dove sei credibile solo se muori».
Quando la sorella gli scrive pregandolo di difendersi, risponde che dalla calunnia non bisogna difendersi: «la mafia mi ucciderà, e uccidendomi mi farà giustizia in qualche modo». E così fu.

La chiusura di Saviano, così come la nostra, è riservata ai bellissimi versi della poetessa bulgara Blaga Dimitrova:

Nessuna paura
che mi calpestino.
Calpestata, l’erba
diventa un sentiero.

Informazioni sull'autore

Silvia Rossetti

Italianista e multitasker. Scrittrice quando c'è tempo, teatrante per divertimento. Forza Tassorosso.