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La cultura dell’horror: cinque curiosità

Illustrazione di Neda Andel.

In occasione della giornata di Halloween ho raccolto per voi cinque curiosità su grandi opere che hanno fatto rizzare i capelli alle diverse generazioni (e continuano a farlo).

L’esorcista, il film più spaventoso di sempre

Il poster de "L'Esorcista".

Il poster de “L’Esorcista”.

Correva l’anno 1973. Nei cinema americani veniva proiettato il film L’Esorcista, tratto da un romanzo scritto due anni prima da William Peter Blatty (che ha curato personalmente anche la sceneggiatura). Per quanto riguarda la regia, dopo aver interpellato diversi registi piuttosto famosi, la scelta ricadde su William Friedkin.

La produzione raggiunse un enorme successo, grazie soprattutto al trucco e agli effetti speciali. Infatti, questo film ha fatto talmente tanto scalpore che è stato classificato da diversi siti web e riviste del settore come il film più spaventoso di sempre (il secondo posto è spesso attribuito a Shining di Stanley Kubrick, basato sul romanzo omonimo di Stephen King).

Probabilmente ad accrescere la popolarità di questo film è stato il modo in cui il pubblico americano lo ha accolto per la prima volta: si dice che dopo le prime proiezioni nelle sale si manifestarono casi di convulsioni e svenimenti.

Il terrore… sulla tela

"Saturno che divora i suoi figli", di Francisco Goya.

“Saturno che divora i suoi figli”, di Francisco Goya.

Se pensate di poter stare tranquilli perché è sufficiente evitare i film horror, dovrete ricredervi. Infatti la cultura dell’orrore non è solo su pellicola.

Diversi artisti da tutto il mondo hanno rappresentato col pennello le loro più oscure e remote paure, sia in forma astratta che con un approccio il più realista possibile. E ci sono opere che, a distanza di secoli, riescono ancora a impressionare, spesso costringendo quasi a distogliere lo sguardo per sottrarsi a queste così grandi atrocità.

Per esempio c’è Saturno che divora i suoi figli (1821-1822), di Francisco Goya. L’artista spagnolo ha vissuto durante la Guerra d’Indipendenza e sentiva il bisogno di denunciare le atrocità commesse dalle truppe napoleoniche nel solo modo che conosceva: con l’arte.
Tra le sue opere famose che servivano allo scopo vi è il ciclo dei Disastri della guerra, raccolta di 82 incisioni macabre che raffiguravano i terribili scenari a cui si poteva assistere durante il conflitto.

Ci sarebbero tantissimi altri esempi da citare. Ma tra quelli che mi hanno impressionato di più posso considerare L’urlo (1893) di Edvard Munch – che ogni volta che mi capita davanti agli occhi può compromettere la positività dell’intera giornata – oppure Giuditta e Oloferne (1602) di Caravaggio.

I vampiri nella letteratura moderna

Copertina de "Il vampiro", racconto di John Polidori.

Copertina de “Il vampiro”, racconto di John Polidori.

Tra le creature di fantasia più spaventose ci sono sicuramente i vampiri. E’ stato un tema più che abusato nell’era contemporanea (basti pensare a Twilight e a tutte quelle serie TV derivate che parlano di vampiri adolescenti), per via del grande impatto che questi ominidi hanno sul nostro immaginario.

Prima di tutto questo però, prima ancora del Dracula di Bram Stoker (1897), c’è una persona che pare abbia iniziato per primo a trasporre in letteratura questa leggenda. Si tratta di John William Polidori, che scrisse nel 1819 un racconto chiamato, appunto, Il Vampiro.

In questa storia un giovane inglese e sua sorella incrociano la loro strada con quella del terribile Lord Ruthven. Pensate anche che prima della pubblicazione del capolavoro di Bram Stoker era Lord Ruthven il vampiro per eccellenza, un po’ come oggi è per noi Dracula, al punto di diventare un sinonimo della creatura leggendaria (ad esempio, ne Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre il conte veniva paragonato a Ruthven per via del suo aspetto).

Per chi avesse apprezzato il racconto di Polidori, sappiate che è in produzione (2018) un film basato su di esso.

Piccoli Brividi, la collana per ragazzi più venduta… dopo Harry Potter

"Il pupazzo parlante", della serie Piccoli Brividi.

“Il pupazzo parlante”, della serie Piccoli Brividi.

Vi ricordate tutti quei libri dalle pagine bordate di verde, con quelle illustrazioni che già da sole erano inquietanti? Se sì, allora avete vissuto la vostra infanzia ai tempi dei lettori CD portatili, delle-vecchie-lire e del Nintendo 64 (o dell’antagonista Play Station 1). Tutti noi abbiamo preso in mano almeno una volta un libro di questa (s)fortunata serie creata da R. L. Stine.

In questa collana (dichiaratamente per ragazzi) ogni episodio è fine a sé stesso. I protagonisti sono giovani dagli 11 ai 14 anni che devono avere a che fare con storie spaventose (non credo che potrò mai dimenticarmi de Il Pupazzo Parlante) o comunque inquietanti – a volte pure un po’ rivoltanti.

Se non conoscete la serie tranquillizzatevi: grazie alla sua scrittura dall’attenzione comunque rivolta a un pubblico giovanile, credo che nessun bambino abbia mai subito gravi conseguenze dalla lettura di questi volumi. Anche perché, rispetto agli horror di oggi, le storie erano molto scorrevoli e spesso non erano così spaventose, pur riuscendo ad essere avvincenti per via dei continui colpi di scena e dell’inevitabile immedesimazione dovuta all’età dei protagonisti.

Proprio il suo stile ha fatto in modo che l’intera serie raggiungesse un successo enorme. Si stima che dal giorno della pubblicazione del primo libro (La casa della morte, 1992) siano state vendute 350 milioni di copie. Record battuto solo dalla Rowling, che con il suo Harry Potter ha raggiunto 510 milioni di lettori.

Le origini di Dylan Dog

Il primo numero di Dylan Dog.

Il primo numero di Dylan Dog.

Quando si parla di fumetto, non si può non citare una delle serie più longeve (e di successo) di sempre. Dylan Dog, creato da Tiziano Sclavi e pubblicato per la prima volta il 26 settembre 1986, parla di un investigatore del paranormale che, assieme al suo compagno di viaggio Groucho (che ha umorismo da vendere), risolve misteri e affronta creature mostruose di ogni tipo.

Il nome deriva dall’incrocio di Dylan Thomas (poeta gallese) e “Dog, figlio di” (libro di Mickey Spillane, che Sclavi aveva visto esposto in una libreria). Dylan era anche il nome provvisorio che l’autore dava a tutti i personaggi della serie, fino a che il loro sviluppo non veniva completato.
Per l’aspetto fisico del protagonista Sclavi chiese al fumettista Claudio Villa di disegnarlo ispirandosi all’attore Rupert Everett, che scoprì guardando un film (Another Country) che veniva proiettato in quel periodo. Per quanto riguarda il suo assistente, è piuttosto chiaro il tributo al comico statunitense Groucho Marx.

A questo fumetto si sono ispirati due film. Oltre a quello “ufficiale” di Kevin Munroe (Dylan Dog – il film), dove Groucho non è stato inserito nella sceneggiatura a causa della mancanza dei diritti, c’è anche una fan fiction di 50 minuti creata da Claudio Di Biagio e Luca Vecchi, disponibile per intero su YouTube.

Buon Halloween!

 

In copertina: immagine di Neda Andel (Flickr), CC BY-SA 2.0.

Informazioni sull'autore

Roberto Turturro

Nerd, musicista, fotografo.
Sono un amante del dettaglio e delle piccole cose.
Ogni tanto mi perdo a fantasticare su un mondo immaginario in cui gli artisti emergenti riescono ad avere il successo che meritano.