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Intervista a Fiorenzo Mengozzi: come nasce un Uomo a Vapore

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Fiorenzo Mengozzi, classe 1976, è un batterista e percussionista poliedrico, che nella sua carriera si è dedicato a generi e stili musicali differenti. Da ormai un anno ha battezzato il suo primo spettacolo teatrale, Uomo a Vapore, un intreccio di musica e parole da lui ideato e realizzato in collaborazione con Roberto Mercadini.

Lo abbiamo incontrato in vista delle prossime settimane di repliche: sabato 3 marzo al Teatro Socjale di Piangipane  e sabato 14 aprile al Teatro Comunale di Cesenatico.
Ecco cosa ci ha raccontato.

Come si fondono teatro e musica, due linguaggi tecnicamente diversi?

uomo-a-vaporeÈ stata la sfida che ho voluto cogliere. Io nasco musicista e rimango musicista tuttora, anche se mi sono buttato in questa avventura. Ho comunque avuto precedenti esperienze di musica abbinata a letture o al teatro: quasi sempre, soprattutto da parte degli attori o dei lettori, c’è una certa reticenza, perché ritengono che la musica distolga l’attenzione dalla lettura e dalla recitazione. Io ho sempre pensato il contrario e la sfida che ho lanciato a Roberto Mercadini è stata proprio questa: riuscire a creare qualcosa che non desse risalto a una parte piuttosto che all’altra. Insomma, che le due cose andassero di pari passo e che si compenetrassero ed enfatizzassero a vicenda. Non è semplice perché ci vogliono delle persone abituate a farlo. Sia per lui che per me era una prima esperienza.
Secondo me l’esperimento è riuscito, è diventato un bel progetto in generale, anche se forse non dovrei dirlo io. Chiaramente quando crei non sei mai soddisfatto al 100%, vorresti sempre cambiare qualcosa, ma è giusto così. Secondo me una tensione creativa deve rimanere.

Come si è sviluppata la collaborazione con Roberto Mercadini?

Per questo lavoro il processo è stato molto diverso da quello canonico: la colonna sonora è nata prima, non è stato uno spettacolo per il quale mi hanno chiesto di inventarla.
Io avevo in testa il progetto, l’idea che doveva esprimere. Essendo musicista ho cercato di tradurre queste idee in suggestioni musicali, però chiaramente certi concetti sono faticosi da esprimere solo con la musica. Con Roberto avevo già lavorato varie volte, mi è scattata questa idea di coinvolgere una persona come lui, che trovavo e trovo tuttora molto adatta. A quel punto non ho fatto altro che raccontargli tutto quello che avrei voluto che dicesse, per poi dargli carta bianca su come farlo. Ci siamo incontrati ormai tre anni fa a parlare di questo progetto, allora gli ho consegnato un libricino di appunti con dentro di tutto. Gliel’ho dato perché entrasse un po’ nel mood, nel mondo interiore che mi ero creato. Però non c’era un testo: c’erano degli sprazzi di concetti, aforismi e citazioni, brani di libri. Ci sono voluti altri incontri per spiegarci meglio, poi il meccanismo è diventato molto semplice.

Quello che stai raccontando riguarda lo spettacolo Uomo a Vapore, ma il tuo progetto nasce ancora prima, con questo pseudonimo.

uomo-a-vaporeDiciamo che è un processo sfociato in uno spettacolo teatrale, al quale non sono stato in grado di dare un nome diverso, perché tutto era nato da quella cellula lì.
Sì, Uomo a Vapore è in realtà il mio pseudonimo come musicista “solista” e come compositore. Quello che ho utilizzato per la carriera al di fuori delle altre band con le quali continuo comunque a lavorare.

A cosa è dovuta la scelta di questo nome? Che cosa significa?

Si riferisce alla difficoltà dell’uomo contemporaneo nello stare al passo coi tempi. Con tutte le tematiche dell’ipervelocità, del multitasking in questo mondo impazzito, ho ragionato sulla difficoltà e sul voler mettere un freno a questa schizofrenia. Ho pensato al passato, al recuperare un modo di vivere più umano, con ritmi più naturali. La prima cosa che mi è venuta in mente, anche come visione estetica, è stata la rivoluzione industriale, il mondo meccanico non digitale.
Mi sono legato subito alla sfera dell’Ottocento, che ho sempre amato. Tuttavia, se recuperi un modo di vivere totalmente lento, in senso stretto, rischi di essere emarginato. Quindi l’Uomo a Vapore è la personificazione di colui che riesce a trovare un equilibrio, tra il non impazzire completamente e l’essere un eremita.
La genesi è stata questa, poi si è portata dietro concetti paralleli e complementari, come la riscoperta del fare le cose a mano. Proprio per rispettare la dicotomia tra antico e moderno, il disco è uscito in digitale e in vinile: è stato escluso il formato cd per rappresentare concettualmente questa divisione.
Il vinile me lo sono stampato tutto a mano. Ho fatto l’istituto d’arte, quindi sono tornato a usare le sgorbie, a fare le incisioni. Tutto ciò che è grafico è stato fatto a mano. La versione digitale invece si trova su Amazon, Bandcamp, Spotify e ITunes.
Parallelamente ho anche realizzato delle stampe artistiche a tema, tramite la tecnica della linografia. Raffigurano vari soggetti a tema e sono stampate su carta povera, la carta gialla dei macellai, che ho sempre adorato.

Di solito ogni musicista ha una storia molto personale su come si sia avvicinato al suo strumento. Tu perché hai iniziato a suonare la batteria?

È stato abbastanza casuale. Da bambino ho vissuto un’infanzia non troppo felice. Abitavo in centro a Ravenna e mi ero trasferito in campagna, a scuola ero lo straniero in una classe già affiatata. L’ho vissuta malissimo, oltretutto i miei genitori lavoravano come dei matti, quindi ero spesso a casa da solo. Insomma, alle medie andavo abbastanza male. Una sera andai a sentire un’orchestrina locale di liscio e rimasi affascinato dal batterista. Scoprii che si trattava del mio vicino di casa, tra l’altro dal nome emblematico: Dante Giotto. Completamente autodidatta. Andai da mia mamma dicendo: “se mi promuovono mi compri la batteria”. Mia mamma disse di sì, pensando che mai al mondo sarebbe finita così. Invece sono riuscito a passare, quindi mi hanno comprato la batteria. Quell’estate cominciai a studiare, proprio da Dante Giotto. Poi sono andato al liceo musicale e ho incominciato a suonare dal vivo. Avevo messo un annuncio, ho trovato un po’ di gente della zona. Sono stato per diversi anni nella scena underground di Ravenna dei primi anni ‘90. Mi stava un po’ stretto l’ambiente, erano sempre tutti strafatti: la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo svenimento del mio cantante, a metà di un concerto. Allora ho chiuso con l’ambiente, ma ho avuto anche un rifiuto dello strumento. Sono stato quasi un anno fermo e la mia ragazza, che adesso è mia moglie, a un certo punto mi ha detto: “Ti prego, torna a suonare perché non ti si sopporta più”.
uomo-a-vaporeUn giorno vidi su TMC2 un video in cui suonavano un tamburo irlandese…ti parlo di 17 anni fa: questo strumento in Italia non lo conosceva praticamente nessuno. Ho scritto una lettera a un costruttore, in un inglese stentato, per farmene inviare uno. Così è cominciata una carriera parallela di musicista di musica irlandese. Col tempo sono diventato anche insegnante di bodhrán, così si chiama questo tamburo. Insegno da 13 anni alla Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli.
Ho suonato folk-rock sperimentale per molto tempo insieme ai Marcabru, con cui ho anche ricominciato a suonare la batteria. È un gruppo col quale suono tutt’ora, il 15 aprile uscirà il nuovo disco.
Più tardi ho cominciato a maturare la voglia di fare qualcosa di più personale.

Da dove è nata l’ispirazione per comporre le musiche di Uomo a Vapore?

Il concetto da cui sono partito è quello del meccanismo, inteso come una serie di ruote dentate, leve, vari elementi indipendenti che vanno a un ritmo diverso, che hanno un ciclo diverso e che, messi assieme, creano un unicum armonico. Per tradurre questo in musica ho cominciato a incastrare tempi diversi, utilizzando dei rumori che ho campionato e messo in loop. In seguito ho costruito il resto dei brani musicali, che sono composti fondamentalmente da melodie, a volte dolci, a volte meno ritmiche, da rumori meccanici e da tappeti di synth.
Dopodiché i musicisti mi hanno dato una gran mano. Ho chiamato un bravissimo chitarrista: Graziano Versari, di Forlì. Poi mi sono fissato con il volere uno strumento più “classico”, magari un arco, un violoncello. Avevo bisogno di una persona che non fosse come molti artisti classici, qualcuno che riuscisse a suonare e che ci potesse liberamente mettere del suo. In questo senso ho incontrato una ragazza veramente eccezionale, Veronica Fabbri Valenzuela. Purtroppo al Teatro Socjale non ci sarà, ma verrà sostituita da Nicoletta Bassetti, violinista e violista.

Stimolare le riflessioni del pubblico fa parte degli obiettivi dello spettacolo?

Io credo che quando si sale su un palco per tutti, oltre a un sano esibizionismo, ci sia anche la voglia di trasmettere qualcosa. Per me è sempre stato così. Anche attraverso la musica irlandese ci piace trasmettere allegria al pubblico. C’è sempre uno scambio, un messaggio. In questo caso il messaggio è più articolato, perché si tratta proprio di una riflessione. Sono tutti piccoli episodi, riflessioni su argomenti più specifici che hanno chiaramente lo stesso filo conduttore, che li porta alla conclusione.

Per informazioni su Fiorenzo e sui suoi prossimi appuntamenti:
www.uomoavapore.com
Facebook: Uomo a vapore

 

 

Informazioni sull'autore

Silvia Rossetti

Italianista e multitasker. Scrittrice quando c'è tempo, teatrante per divertimento. Forza Tassorosso.